Liberato a Valdimolino un raro nibbio bruno
Si sono ritrovati in aria, letteralmente in cielo, dopo quasi venti giorni di lontananza forzata. Scene da fotoromanzo a due passi dal Paradiso, questa mattina a Valdimolino, frazione agreste di Montecchio Maggiore. Lui, un bellissimo esemplare di nibbio bruno, liberato dopo quasi tre settimane di cure, lei, probabilmente la sua compagna, apparsa all'improvviso dopo che il maschio aveva elegantemente omaggiato la piccola compagnia umana accorsa per la sua liberazione giocando con le correnti d'aria ascensionali. Due giri sulle teste del personale della polizia provinciale, dei giornalisti, dei veri protagonisti di un salvataggio da “Libro Cuore” e pure di un paio di fortunati bambini che hanno potuto ammirare il nibbio da due passi, in tutta la sua bellezza. Davvero emozionante, anche perché, a far quasi da paggi, sono poi apparsi una poiana ed un pecchiaiolo, rendendo quell'angolo di azzurro una sorta di enciclopedia sui rapaci. Potenza della Natura, capace di regalare meraviglia quando meno te lo aspetti.
Stavolta, però, a dare un contributo decisivo sono stati anche gli uomini. Come i signori Pellattiero, papà Italo e la figlia Deborah, che il Romeo pennuto lo hanno raccolto svenuto nel giardino della loro casa per poi portarlo dapprima da un veterinario e poi al Centro Rapaci di Fimon, a ventidue chilometri di distanza. “Abbiamo fatto un po' di strada – sorridono – ma ne valeva la pena. Abbiamo visto l'uccello cadere da un albero e abbiamo subito pensato a soccorrerlo e salvarlo”. Non nuovi ad incontri ravvicinati del terzo tipo con gli animali del bosco, i Pellattiero si erano pure presi cura, anni fa, di alcuni barbagianni, ai quali tanta ospitalità era così piaciuta da rimanere sul tetto della loro casa per altro tre giorni.
E poi ci sono le mani esperte di Alberto Fagan, responsabile del Centro Recupero Rapaci di Fimon, che di vite ne ha salvate a centinaia. “Me l'hanno portato che era sul dorso, respirava pochissimo e aveva le ali leggermente aperte. I pettorali erano sviluppati, segno che non era denutrito. Ho immaginato che fosse un'intossicazione, il nibbio bruno e quello reale sono rapaci spazzini, cacciano e e mangiano anche nelle discariche. L'ho curato per quello, inserendo nell'esofago un antidoto e ho aspettato. Pensavo di trovarlo morto invece il giorno dopo era bello che arzillo. L'ho tenuto ancora un po' da me in via precauzionale ed ora siamo qui”. Come se fosse la cosa più semplice del mondo. E difatti il nibbio, che come tutti gli animali qualcosa che rassomiglia ad un'anima ce l'ha ben forte, ha pazientemente sopportato la curiosità mostrando un po' i muscoli, anzi il becco aperto e la lingua minacciosa, più per dovere che per paura. Poi il volo ed il cielo. Verso il nido di Sant'Agostino, intanto, poi, quando l'estate sarà terminata, si riparte per l'Africa ed il Sahara. Perché, favola nella favola, un nibbio bruno alle nostre latitudini è una rarità. E da questa mattina anche un pizzico di nostalgia.