Invasione di cavallette e possibili soluzioni
“Con un inverno ed una primavera così piovosi ed umidi ci aspettavamo un abbattimento di questa specie ma così non è stato. Evidentemente qualcosa si è alterato a livello di equilibrio biologico e questo fa pensare. Le infestazioni, però, dagli inizi degli anni 2000 non sono più una novità”. In principio furono Piemonte ed Emilia Romagna ma ogni allarmismo di tipo biblico o apocalittico è per ora fuori luogo. Certo, l'invasione di cavallette in alcune aree della cinta urbana c'è stata, come pure non è da trascurare la curiosità segnalata da Sergio Carraro, tecnico agronomo dell'Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “N. Strampelli” di Lonigo, ma le soluzioni per combatterle non mancano. Fondamentale però la conoscenza.
“Nel nostro territorio – sottolinea Carraro - ci sono due specie, il Barbitistes Vicentinus, autoctono e piccolo, che vive soprattutto sui Colli Berici ed ora pure il Calliptamus Italicus o cavalletta dei prati. Entrambe non creano problemi agli uomini ma se la prima è una specie arboricola, che predilige salire sugli alberi, la seconda è molto vorace, vive in gruppo nel passaggio all'età adulta e mangia tutto ciò che trova a terra: fagioli, patate, verdura, erba medica. Non disdegna nemmeno le piante da frutto. Le cavallette dei prati sono invasive e pigre, si spostano soprattutto camminando. Le mutate condizioni climatiche, con le estati sempre più asciutte, ne agevolano la proliferazione, che per ora è segnalata a livello puntiforme. Per la Barbitistes in particolare a San Germano dei Berici e Grancona, per le altre anche Colli Euganei e pianura”. Entrambe vivono un anno, con la riproduzione che avviene nella fase adulta, tra fine agosto e settembre, e la schiusa delle uova prevista in aprile. “Come detto, è strano che con una stagione così piovosa ci si ritrovi di fronte a questo fenomeno. L'acqua porta dei funghi che distruggono le uova depositate sul terreno”. Dove e come rientra in un altro capitolo, quello del loro contenimento.
Già, come affrontare le invasioni? In questo momento le azioni possono essere solo di tampone. “Vanno usati – continua Carraro - prodotti contenenti deltametrina. In casa e in giardino, sotto le finestre. Però questo risolve una situazione contingente non è che risolvi il problema, legato alle loro migrazioni, con un'applicazione”. Tra i metodi di contenimento, però, ce n'è uno assolutamente biologico: le faraone. Voraci predatrici di questi insetti a condizione che vengano abituate a nutrirsene fin da piccole. Esperimenti in tal senso sono stati portati avanti e con successo sia in Piemonte che in Emilia Romagna, ma sempre all'interno del perimetro delle aziende agricole e delle fattorie. Non si tratta, però, di un rimedio esaustivo, avere faraone non significa liberare automaticamente tutto un territorio dalla presenza degli insetti.
Come sempre, dunque, la cosa migliore è prevenire. Come? Individuando innanzitutto le grillare, ovvero il luogo dove le uova vengono depositate. Si tratta di terreni sodi, prati permanenti o terreni incolti, non lavorati, esposti a sud. “Sì, l'uomo, abbandonando la terra, contribuisce a questi fenomeni. Individuare queste grillare non è facile ma è l'unico modo, procedendo poi con la loro disinfestazione, per contrastare il fenomeno. Per questo motivo è sempre più necessaria un'azione di coordinamento fra comuni, enti di ricerca e soggetti privati.
“Abbiamo contattato – sottolinea il Capo Gabinetto provinciale Dino Secco – anche l'Università di Padova per capire le esperienze vissute e le soluzioni adottate nei Colli Euganei. E' nostra intenzione redigere una guida con foto per darla alle amministrazioni affinché possano mettere a disposizione della cittadinanza uno strumento informativo completo. Al riguardo entro settembre faremo un incontro con i tecnici comunali, presenti esperti universitari, per offrire strumenti e riferimenti che consentano di organizzare interventi di prevenzione. Queste infestazioni, ripeto, non sono tamponabili chimicamente, ci vuole prevenzione”.