Rai Cinema: a Bassano con la Provincia il documentario su Don Facimbeni
Monte Grappa, provincia di Firenze. Nessun refuso, nessuna omonimia e neppure nessun errore geografico. Che la Montagna Sacra della Prima Guerra Mondiale sia veneta e vicentino-bassanese-trevigiana non ci piove, ma pochi sanno che nella storia della splendida città d'arte toscana essa ha riempito pagine di vita reale, intensa e ricca di umanità. Per la precisione ottomila, numero pari a quello dei bimbi che dal 1923 sono stati accolti nell'orfanotrofio dedicato alla Madonnina del Grappa, la piccola Madre degli uomini a cui migliaia e migliaia di soldati si raccomandarono una volta giunti al fronte e prima che calassero le tenebre.
Firenze, un orfanotrofio e Bassano del Grappa: ma qual'è il filo che unisce assieme, in un racconto emozionantissimo, tutti questi luoghi? Il filo è un prete di origine romagnola, don Giulio Facimbeni, pievano nel quartiere operaio di Rifredi fino al 1916 quando si arruolò come cappellano militare per seguire – e capirne la vicenda e la sorte – i tanti fiorentini chiamati alle armi e più ritornati a casa. Un sacerdote chiamato “Il Padre” e pianto da una intera comunità, fermatasi, persino bloccatasi, nel giugno del 1958 per accompagnarlo nell'ultimo viaggio.
Per saperne di più, anzi per dargli la luce che merita, ecco ora un documentario biografico realizzato da Rai Cinema fra la Toscana ed il Veneto ma concretizzatosi proprio a Bassano grazie alla sensibilità della Provincia di Vicenza e del vicepresidente Dino Secco. Lo spiega la regista Francesca Elia: “Sì, tutto è nato all'Ufficio Turistico bassanese. Ero ad Abano per Capodanno ed il giorno dopo decidemmo di portare il bambino a sciare. Ci ritrovammo così a Bassano, era tutto chiuso tranne appunto lo Iat e qui ci proposero Asiago e poi anche una pista sul Grappa. Appena sentii questo nome ripensai ai racconti di guerra di mio nonno e ci andammo. Lì mi venne in mente la Madonnina, che nella mia città significava l'orfanotrofio, e la cercai. Ed ogni volta che tornavo era come se fossi attesa”.
Medaglia d'argento al valore militare, decorato anche dagli austriaci “perché lui non guardava alla divisa di fronte alla morte”, don Facimbeni visse da vicino l'orrore di una guerra che ne segnerà per sempre l'esistenza. Rimarrà sulla montagna anche dopo il conflitto, poi torna a Firenze dove fonda l'orfanotrofio Opera della Madonnina del Grappa per accogliere i tanti ragazzi rimasti senza famiglia e non solo. Spiega il produttore Mauro Colombo: “In un'epoca come questa in cui l'ignoranza è il titolo di studio che accomuna tanti, è importante conoscere le proprie radici riscoprendole nei fatti e nelle persone. Don Giulio è stata una figura incredibile, che ha segnato, assieme al cardinale Dalla Costa, anch'esso vicentino, ovvero di Villaverla, la riscoperta delle radici cattoliche a Firenze, città massonica, rinascimentale nel senso peggiore, laica per eccellenza. E io ringrazio il vice-presidente della Provincia Dino Secco per aver capito l'importanza di don Facimbeni e trasformato subito l'idea di un documentario in una collaborazione attiva ed operativa”.
Davvero una corrispondenza immediata. Sottolinea Secco: “Attraverso questa figura magica di sacerdote vogliamo far diventare il Grappa la montagna anche dei fiorentini e dei toscani. Da parte nostra abbiamo colto il profondo legame fra il nostro territorio, la sua storia e don Giulio inserendo questo documentario tra le iniziative che da qui al 1914 ripercorreranno quei drammatici eventi fino al 1918”.
Salvò anche tanti bambini ebrei don Facimbeni e fu padre di tutti sempre amorevole. “Li faceva studiare – ricorda la regista Elia – li avviava al lavoro. Tanti si sono laureati, a tutti ha dato un futuro. Eppure non chiedeva soldi a nessuno affidandosi totalmente alla Divina Provvidenza e ricevendone veri e propri miracoli, come quando doveva pagare una tratta o il conto del macellaio e trovava nella cassetta delle offerte i soldi giusti per procedere”.
Padre amorevole e silenzioso, forse neppure la televisione darà a don Giulio la fama che merita ma che lui non cercava. “La speranza – conclude Secco – è che si continuino a trasmettere quei valori nei quali credeva e che questa crisi che ci sta stritolando tutti rischia di travolgere”.